H come Halloween, H come Harry Houdini

Sono passati 84 anni dalla morte del grande illusionista, escapologo e smascheratore di medium Harry Houdini.

La tomba di Erik Weiss (in arte Harry Houdini)

La notte di Halloween (notte in cui secondo la tradizione celtica i morti tornano sulla terra) del 1926, quando il grande mago morì, furono in molti a dire che se c’era un uomo che poteva fuggire dall’aldilà, quell’uomo era Harry Houdini, colui che in vita era riuscito a fuggire da qualsiasi nodo, paio di manette, cassa, prigione.

In punto di morte, Harry disse a sua moglie Bess:

“Se c’è un modo per tornare, io lo troverò”

Poco prima di morire, infatti, fece con lei un patto, concordando un messaggio in codice che, dall’aldilà, avrebbe usato per comunicare con lei attraverso i medium, se ciò fosse stato possibile.

Per i dieci anni successivi, ogni notte di Halloween, Bess cercò di mettersi in contatto con lo spirito di Harry, ma invano.

Molte sono le false storie diffuse sulla vita di Harry e soprattutto sulla sua morte a causa dei numerosi film che hanno romanzato e modificato la sua biografia.

Il più recente, Houdini – L’ultimo mago (regia di Gillian Armstrong, con Catherine Zeta-Jones, Guy Pearce, Timothy Spall, Saoirse Ronan), vede come protagonista un Houdini alla ricerca di un medium che fosse in grado di dirgli le ultime frasi pronunciate dalla madre prima di morire. Una seducente sensitiva (interpretata da Catherine Zeta-Jones), aiutata dalla figlia, inizialmente cerca di circuirlo per vincere la lauta ricompensa, ma dopo essersi innamorata di lui abbandona l’idea di truffarlo. Colpo di scena [ATTENZIONE: segue spoiler!]: la figlia cade in trance rivelando non solo le ultime parole della madre (parole che in realtà ha saputo dall’assistente del mago), ma predicendo anche la sua morte per mano di un “angelo dai capelli rossi”. Il giorno dopo, come previsto, Houdini muore. [FINE spoiler!]

Di vero, in questo film che non vi consiglio particolarmente, c’è solo l’ossessione di Houdini nei confronti della madre, a cui era morbosamente attaccato e che cercò a lungo di contattare tramite medium, scoprendo però ogni volta di avere di fronte solo dei ciarlatani.

Ma il film più famoso su Houdini resta lo storico Il mago Houdini (diretto da George Marshall e interpretato da Tony Curtis e Janet Leigh), che seppur divergendo in qualche punto dalla biografia del mago, rimane sempre un bel film.

Prendendo per vero quanto raccontato nel film, sono in molti a credere che Houdini sia morto eseguendo il celebre numero della Pagoda della Tortura dell’acqua, numero che invece egli eseguì ben 673 volte!

In realtà Harry morì a causa di una peritonite, aggravata probabilmente da un pugno all’addome infertogli da uno studente di boxe un paio di settimane prima. Questi, andandolo a trovare nel suo camerino, volle mettere alla prova i suoi leggendari muscoli addominali dandogli dei pugni – cosa che Houdini normalmente permetteva – ma quella volta, colto di sorpresa, non ebbe il tempo di preparasi a ricevere i colpi.

Houdini non era un semplice mago, un illusionista o un escapologo. Era qualcosa di più. Con i suoi numeri, in cui fuggiva da catene, manette e prigioni, ha dimostrato che l’uomo può essere libero, che nulla lo può immobilizzare davvero:

“Il mio cervello è la chiave che mi rende libero”

In onore dell’anniversario della sua morte abbiamo dedicato a Houdini un articolo su QueryOnline scritto da Massimo Polidoro. Lo trovate qui: http://www.queryonline.it/2010/10/31/houdini-il-mago-che-non-credeva-ai-maghi

Vi lascio con una piccola curiosità che in pochi sanno: “Houdini” si pronuncia con l’accento sulla prima sillaba e non sulla i finale come si sente in Italia!

Carnevale della Fisica #12

Finalmente è arrivato il 30 Ottobre e con esso il C ARNEVALE DELLA FISICA #12!

(Per sapere cos’è il Carnevale della Fisica  potete leggere l’articolo su WIRED)

Come vi avevo già anticipato qui, il tema di questo mese è la didattica e il blog ospitante è scientificando, gestito da Annarita Ruberto, insegnante di matematica e scienze.

Questo l’indirizzo (su cui dovete assolutamente cliccare!) dove potete trovare tutti i (ben 120!) contributi di questo mese provenienti dai 38 partecipanti, tra cui la sottoscritta: http://scientificando.splinder.com/post/23527005/carnevale-della-fisica-12-la-didattica

Se l’iniziativa vi intriga e volete proporvi come futuri ospiti, visitate il Carnevale della Fisica su Ning!

Intanto..buona lettura!

La scienza e la didattica

Avete mai sentito parlare del “Carnevale della Fisica“? Si tratta di una bellissima iniziativa partita nel Novembre 2009 per celebrare i 400 anni di Galileo:

Il 30 novembre, 400 anni or sono, un uomo per la prima volta nella storia dell’umanità sollevava il suo cannocchiale al cielo, osservando da una angolazione del tutto nuova l’oggetto celeste più brillante del firmamento: la Luna. Quest’uomo era Galileo Galilei.

Il 30 di ogni mese appassionati e professionisti divulgatori della scienza si riuniranno per promuovere la fisica e le scienze in maniera originale e divertente.

Il tema di questo mese, per la XII edizione del Carnevale, è: Perché la didattica delle Scienze, e della Fisica in particolare, non funge qui da noi?” Si sa, infatti, che l’insegnamento scientifico in Italia lascia a desiderare. Lo dimostrano chiaramente le sconfortanti prestazioni offerte dai nostri studenti nelle indagini internazionali quali l’OCSE-PISA, per citarne una.


Quando ho letto la domanda la prima cosa che mi è venuta in mente sono stati i soliti luoghi comuni: è colpa degli insegnanti, spesso non molto preparati o senza abilità didattiche, è colpa di queste nuove generazioni di studenti, che non hanno voglia di studiare, ed è colpa delle riforme, che creano disordini e mal contento. Ok, ma oltre a questo? Allora mi sono fermata a riflettere.

Credo che alla base di tutto ci sia l’impronta classicista e filosofica che ha permeato (e continua a condizionare pesantemente) la cultura del Paese, facendo apparire la scienza meno importante delle materie umanistiche e non indispensabile al benessere dell’umanità:

Gli uomini di scienza […] sono l’incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all’organismo filosofico-storico

scriveva Benedetto Croce all’inizio del 1900 (B. Croce, Il risveglio filosofico e la cultura italiana, «La critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia», n.6, 1908, pp. 161-168).

Gran parte della colpa va anche data alla Chiesa, da sempre preoccupata che la scienza possa minare il suo territorio e deviare i suoi fedeli portandoli alla perdizione: mai dimenticare il peccato di Adamo ed Eva che mangiarono il frutto proibito (erroneamente tradotto “mela”) dell’albero della conoscenza!

Considerando dunque queste condizioni, la prima cosa che un insegnante devrebbe fare è far capire alle nuove generazioni, a cominciare dai bambini della scuola elementare, che invece scienza vuol dire progresso: la scienza è utile, è bella e si evolve. E tutti possono contribuire alla sua evoluzione: non è necessario essere piccoli Einstein!

Poichè si sa che ogni persona è portata a studiare meglio le materie che gli piacciono, la chiave di volta sta nel rendere la scienza qualcosa da amare. E’ importante che gli studenti capiscano che la scienza non è qualcosa di astratto o inutile, ma che è grazie al progresso scientifico che sono nati il computer, la tv, internet, i loro amati videogiochi e così via.

La scienza dovrebbe essere presentata come una creatura da difendere: bisognerebbe mettere in guardia i giovani da quelli che sono i suoi nemici, tra cui si possono citare gli integralismi religiosi, filosofici e ambientalisti, le pseudoscienze, le medicine alternative e così via, e coloro i quali hanno imparato ad amarla dovrebbero, di conseguenza, iniziare anche a difenderla.

I docenti, da parte loro, da un lato dovrebbero capire che la matematica che si insegna a scuola non è imparare a fare i conti senza calcolatrice e che la fisica che si insegna a scuola non è imparare a memoria le equazioni del moto e le leggi della termodinamica, e dall’altro dovrebbero smetterla di ridurre al minimo le spiegazioni nell’ottica di una semplificazione delle materie: molto spesso l’unica via per comprendere davvero qualcosa è approfondirla, ma sono in molti a confondere semplicità con superficialità.

Molto spesso gli studenti percepiscono le materie scientifiche come qualcosa di limitato a delle formulette scritte su una lavagna e qualche esperimento fatto in laboratorio. Salvo rare eccezioni, infatti, le nozioni apprese in classe rimangono fini a se stesse e non hanno alcuna utilità pratica al di fuori della scuola. Le cose cambierebbero notevolmente se invece di fermarsi alla spiegazione di quelle quattro formulette che sembrano piovere dal cielo, si insegnasse  il metodo “di indagine” proprio delle scienze e si cercasse di formare nei giovani quello spirito critico che servirà loro da guida nelle scelte che dovranno compiere.

Tra le motivazioni che hanno dato origine alla scienza e fungono da stimolo per l’evoluzione della conoscenza scientifica c’è sicuramente il fascino del mistero. Si potrebbe perciò partire proprio dall’innegabile fascino che da sempre il mistero esercita su di noi per far interessare i giovani alle scienze: la presentazione di un mistero apparentemente inspiegabile inizialmente stupisce, subito dopo incuriosisce e in un lampo accende la voglia di capire: inizia così la fase di ricerca, con l’aiuto dell’insegnante, della spiegazione del fenomeno, ricerca spesso ardua, che però, una volta raggiunta, darà grande gratificazione agli studenti, che difficilmente dimenticheranno la lezione, in cui avranno imparato sia un metodo utile in diversi campi e situazioni, sia delle nozioni, e l’avranno fatto mettendosi in gioco in prima persona. Non solo: senza grande sforzo sarà stata ribaltata la classica situazione in cui gli studenti ascoltano il professore perché obbligati a farlo e il professore spiega perché deve farlo e non certo perché gli studenti lo vogliono. Se il mistero sarà davvero affascinante, saranno gli studenti a chiedere spiegazioni perché desiderosi di averle.

Da qui, poi, tutto il resto.

II Assemblea dei soci @ Novi Ligure: sera d’arrivo

15 Ottobre 2010: Aereo fino a Genova, autobus dall’aeroporto alla stazione, treno da Genova a Novi e infine breve camminata fino a raggiungere la pizzeria dove, pian piano, cicappini da tutta Italia si stanno radunando. Non sono neanche in ritardo!

La lunga tavolata si riempie velocemente, tra baci, abbracci e sorrisi che non lasciano dubbi sulla contentezza di ognuno nel rivedere gli altri.

Tra una pizza e l’altra, con una farinata in mezzo che colui che tutto mangia non ha ancora deciso se abbia un sapore “delicato” o piuttosto “disgustoso”, il tempo passa in fretta, (senza contare la pizza alla Nutella e panna!) e la Conferenza di Stefano “Mai dire Maya”, sulle balle del 2012, doveva inziare già da un pezzo! Andiamo di corsa alla Biblioteca, dove si terrà la conferenza.

La conferenza è interessante, anche se l’ho già ascoltata quando Stefano è venuto a bari.

Terminata la conferenza, gli occhi stanchi dei viaggiatori si riprendono non appena inizia a circolare l’idea di andare a bere una birra tutti insieme: improvvisamente siamo di nuovo pieni di energie! Le poche voci di dissenso “ma è tardi, andiamo a dormire che siamo stanchi..” vengono messe rapidamente a tacere con il categorico: “non si dorme ai convegni e alle assemblee CICAP!”.
Inizia dunque la difficilissima ricerca di un locale che abbia sufficienti posti a disposizione. Giriamo per le strade e ci conviciamo ben presto che a Novi non sembra esserci movida notturna…E’ venerdì sera ma le strade sono piuttosto deserte.

Entriamo in un baretto dai divani leopardati e strani tappeti. E’ vuoto, ma nonostante ciò basta un rapido conto per capire che non riusciremmo mai a sederci tutti: è troppo piccolo. Decidiamo di uscire dall’altra porta, facendo una bizzarra processione davanti alla barista che vede una ventina di persone entrare da una porta e uscire dall’altra!

Decidiamo allora di provare alla gasthaus, una birreria che dovrebbe essere più grande. Degne di nota sarebbero anche le manovre in macchina e i giri e rigiri che la macchina in testa, con Daniel alla guida e Marino a fare da tom-tom, ha fatto intorno alle rotatorie, con manovre semi-proibite, mentre tutte le altre macchine seguivano a ruota, un po’ dubbiose, senza capire dove stessimo andando, ma non credo che a parole riuscirei a spiegarvi le risate.

Arriviamo dunque alla gasthaus, una birreria davvero grande, ma anche tremendamente piena di gente e chiediamo se c’è posto per 17, anzi 15 perché intanto il gruppo s’è ridotto. Il posto c’è, un po’ risicato, ma tanto ci stringiamo. Ed eccoci in una saletta piccina piccina, tutta per noi, grande appena per contenere un tavolo da 10. “Va benissimo, non si preoccupi!”. Ci arrangiamo come possiamo: qualcuno si siede sul tavolo, qualcun altro su una botte di birra, “io mi siedo in braccio a te”, “aspetta ecco una sedia in più” ed eccoci tutti seduti. Ma… il tavolo è proprio davanti alla porta dell’unico bagno della birreria e disposti come siamo blocchiamo completamente l’entrata!!

(notare la porta del bagno alle nostre spalle!)

Ecco che arriva il primo che deve andare in bagno: “è guasto!”, gli facciamo scherzando non appena si accorge dell’impossibilità di raggiungere la porta. Il tizio ci crede e se ne va, mentre invano cerchiamo di richiamarlo per dirgli che non è vero. Quando arriva il secondo, un po’ in colpa per prima, ci alziamo e lo facciamo passare. La processione per il bagno sarà più o meno continua e chi c’era potrebbe anche trovare divertente ricordare tutti gli strani personaggi che Michele ha preso in giro all’entrata e all’uscita dal bagno, ma temo che gli assenti potrebbero annoiarsi e non trovare interessante tale capitolo della serata. Vi dico solo che se non ci hanno picchiato è stato davvero un miracolo, soprattutto quando Michele, all’arrivo di un omaccione muscoloso con baffi neri da camionista e tatuaggi ha esclamato “fatelo passare questo, che è cattivo!”

Nonostante le un po’ troppe coca-cola sul tavolo, ci riconfermiamo ottimi bevitori di birra, ma dopo tante risate la stanchezza si fa proprio sentire e decidiamo di andare in hotel. Facile a dirsi!

Il gruppo che alloggia (al) “Da Noi” si trova infatti un po’ spaesato quando il tom-tom annuncia che siamo arrivati a destinazione ma intorno è tutto buio e dell’albergo non c’è più traccia! Dopo un paio di giri riusciamo a scorgerlo nell’oscurità: è completamente buio, senza neanche una lucina o un’insegna illuminata. Ci hanno dato le chiavi dell’hotel perché la notte non c’è nessuno ad accoglierci. Entriamo e le risate esplodono fragorose quando ci troviamo davanti due enormi tigri (di peluche!), un puma e tanti elefanti. Come bambini iniziamo a giocare, incuranti del chiasso che stiamo facendo.

E’ tardissimo quando andiamo in camera, ma ci vorrà ancora tempo prima di chiudere gli occhi. Io sono in stanza con Paola e Laura e si sa, tre donne nella stessa stanza non possono fare a meno di chiacchierare per almeno un’oretta, anche se stanche! E poi non può mancare una visitina su facebook prima di andare a letto, per comunicare a tutti che siamo a Novi per l’assemblea del CICAP che inzierà domattina presto e siamo ancora svegli. Spente le luci Paola mette alla prova la nostra capacità di concentrazione raccontandoci le sue avventure con un gioco online, ma io e Laura dopo poco non riusciamo già più a distinguere tra il gioco e la realtà!

Ho paura di guardare l’orologio e scoprire che tra poche ore dovrò già svegliarmi, ma la sveglia suonerà impietosa, perciò alla fine ci facciamo accogliere dalle tenere braccia di Morfeo.. (cioè ci addormentiamo!)

 

(continua…)

Buy-ology? Ma esiste veramente il neuromarketing?

La terza conferenza del Libroscopio 2010 si è svolta lunedì 11 Ottobre. Il titolo in programma è intrigante: “Buy-ology? Ma esiste veramente il neuromarketing?”. Moderatore dell’incontro, per l’ultima volta, è Pino Donghi, semiologo di formazione, docente e ricercatore presso il Dipartimento di Semiotica e Performing Arts dell’American College of Rome (Charleston, West Virginia) e divulgatore scientifico. A illustrare tre diversi aspetti del neuromarketing sono Anna Oliverio Ferraris, Prof. ordinario di Psicologià dell’età evolutiva presso l’Università di Roma “La Sapienza”, Pierluigi Fagan, socio e amministratore delegato dell’Agenzia Pubblicitaria “Fagan-Reggio-Del Bravo”, esperto delle strategie e delle dinamiche della comunicazione, del marketing e della pubblicità, e Alessandro Bertolino, Prof.re associato presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Unviersità di Bari, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche.

Le tecniche di manipolazione sono utilizzate in molti campi: pubblicitario, politico, delle sette, fino ad arrivare a personaggi come Wanna Marchi: saperle riconoscerle può quindi tornare utile in molti casi.

 

Pino Donghi, Anna Oliverio Ferraris, Alessandro Bertolino, Pierluigi Fagan

La Prof.ssa Anna Oliverio Ferraris inizia da qualche cenno storico. La manipolazione è una scienza antica che nasce dai greci. Già Platone condannava la retorica sofista e diceva che, in un dibattito tra un retore e un esperto di un determinato settore, il retore sarebbe stato sempre più persuasivo del suo “concorrente”, avendo così la meglio sull’uditorio.
Un esempio recente, che dimostra come Platone avesse ragione, lo si trova nel cosiddetto “caso Di Bella“, nel quale i conduttori televisivi (attuali retori) ebbero la meglio sugli scienziati (i veri esperti) propagandando una cura per il cancro i cui effetti non erano affatto miracolosi come si diceva.

Intorno alla metà del V secolo a.C., i sofisti erano considerati veri e propri maestri nell’uso dell’arte della parola. All’epoca, però, la persuasione si basava solo sulla parola. Oggi, invece, alle parole si aggiungono le immagini, che spesso sono molto più incisive.

Affinchè un messaggio pubblicitario raggiunga il suo obiettivo, è necessario che il cervello dello spettatore sia “disponibile” a recepirlo, perciò tra gli scopi dei programmi televesivi c’è quello di far sì che lo spettatore sia pronto a recepire lo spot. Tra le tecniche che consentono di far “entrare” nei cervelli le pubblicità c’è l’assenza di stacchi tra programma e spot: un tempo il distacco tra il programma televisivo e lo spazio pubblicitario era netto e marcato, mentre oggi le pubblicità irrompono improvvisamente e spesso sono gli stessi personaggi che erano presenti nel programma a recitare negli spot.
Anche i contenuti dei messaggi pubblicitari col tempo sono molto cambiati: se prima si parlava solo delle caratteristiche del prodotto, oggi si può fare una pubblicità senza quasi parlare di ciò che si sta pubblicizzando (a questo proposito, mi torna in mente questo divertente video di willwoosh: Pubblicità!!)

Essere nella cornice della TV, avere alle spalle una gigantografia o entrare in scena con il sottofondo di una canzone dedicata a se stessi valorizza un personaggio a prescindere dalla sua competenza e dalla sua moralità. I due citati sono esempi di comunicazione implicita che spesso ha effetti maggiori di quella esplicita, perché la prima va direttamente all’emozione, mentre la seconda deve passare dalla ragione. Il problema è riuscire a capire, ogni volta, quale sia l’informazione implicita.

Alcuni spot danno anche input sulla moda del momento e cercano di diffondere una “filosofia di vita” non sempre positiva (un esempio per tutti sono le pubblicità di vestiti per bambini, in cui vengono fotografati bambini vestiti come adulti, dagli sguardi “vissuti” che fanno assomigliare le bambine a delle piccole lolite).

Tutti quanti, ma i giovani in particolare, devono riflettere sulla comuncazione e conoscerne i meccanismi, altrimenti viene meno anche la democrazia, dato che le tecniche di convincimento sono usate anche in politica.

A questo punto viene spontaneo chiedersi: è lecito che si faccia uso delle emozioni per convincere qualcuno? E’ lecito utilizzare queste tecniche per convincere che ciò che diciamo è giusto?

Il Prof. Bertolino analizza la risonanza magnetico funzionale (RMF) e i suoi limiti.
Il cervello funziona come una rete in cui ci sono diverse aree che interagiscono tra di loro. La RMF presenta diversi limiti, come l’impossibilità di ottenere una  localizzazione spaziale, dimensionale e temporale. Ciò che si può ottenere sono informazioni medie ed è perciò estremamente difficile capire quale sia la risposta esatta a un determinato stimolo. Usando tecniche di imaging funzionale si possono avere solo informazioni medie, non sempre molto attendibili, sulla riuscita di una pubblicità.

Certo è che le nostre scelte sono determinate da molti fattori e non solo dal prodotto in sè. Emblematico è uno studio, pubblicato nel 2007, che dimostrava come alcune aree del cervello venissero attivate maggiormente dopo aver visto il marchio Coca-Cola piuttosto che Pepsi. Ai volontari furono fatte assaggiare le due bibite ad occhi chiusi, in modo che non sapessero se stavano bevendo Coca-Cola o Pepsi. Tra le due la Pepsi fu quella preferita per il gusto. Tuttavia le cose cambiavano se i volontari potevano vedere cosa stavano bevendo: in questo caso la preferenza era data alla Coca-Cola. Perché? Per quanto possa sembrare assurdo, è il logo a fare la differenza: il logo della Coca-Cola è più bello rispetto a quello della Pepsi, le persone vi sono affezionate, gli slogan pubblicitari colpiscono le emozioni. Del resto le pubblicità della Coca-Cola hanno persino inventato Babbo Natale così come lo conosciamo oggi!

Un’altra tecnica molto usata in ambito pubblicitario è quella di unire al prodotto da sponsorizzare un’immagine che faccia attivare alcune aree del cervello, “antiche” dal punto di vista filogenetico, che fanno prevedere una ricompensa. Questa è la ragione per cui, per esempio, nelle pubblicità delle automobili ci sono spesso donne seminude.

Pier Luigi Fagan ci prospetta il tema dal punto di vista di chi è dall’altra parte, cioè chi crea le pubblicità.

La società è basata sul mercato, che si dice sia regolato da una mano invisibile.. la pubblicità! Bisogna partire dal presupposto che la gente non sempre compie scelte razionali. Questo concetto è alla base della neuroeconomia, della quale il neuromarketing è una branca.

Le soap opera sono nate per aumentare l’attenzione dei telespettatori durante la pubblicità, che viene mandata in onda proprio durante i  momenti clou della storia, quando l’attenzione e le aspettative sono al massimo.

La pubblicità agisce sull’impulsività: ai prodotti vengono “attaccati” degli slogan, delle etichette, che rimangono, anche inconsciamente, nelle menti delle persone.

Riprende la parola la Prof.ssa Oliverio Ferraris, osservando che far vedere la TV ai neonati e ai bambini fa sì che essi si affezionino allo schermo e preferiscano lasciarsi intrattenere da questa piuttosto che dai giochi. Questo tipo di intrattenimento è però completamente passivo: i bambini non prendono iniziative e non sviluppano la creatività.

Crescendo, essi si abituano ai tempi della TV, cioè ai tempi veloci degli spot, dei cartoni animati e dei telefilm, e non sono più in grado di seguire discorsi lunghi, nè ad approfondire.

Le opinioni, solitamente, si formano parlando tra persone, ma se manca il dialogo e tutti sono sempre e solo davanti alle TV, l’opinione pubblica si forma non più grazie all’interazione con gli altri, ma si basa solo sulle informazioni che vengono trasmesse sul piccolo schermo. Queste informazioni sono però notizie già interpretate e semplificate e se poi tutta l’informazione è monopolizzata da un’unica persona si capisce bene come diventi impossibile avere idee proprie.

Per concludere, poichè trovo che questo argomento sia estremamente interessante, vi consiglio un paio di libri:

  • Chi manipola la tua mente? Vecchi e nuovi persuasori: riconoscerli per difendersi, di Anna Oliverio Ferraris, Giunti Editori, 2010
  • Al gusto di cioccolato – come smascherare i trucchi della manipolazione linguistica, di Matteo Rampin, Ponte Alle Grazie, 2005

Il primo di questi due libri l’ho comprato ma devo ancora leggerlo, mentre il secondo, da quando l’ho letto, ha letteralmente cambiato il mio modo di vedere le cose..

Nuovi dualismi: il cervello tra neuroscienze e neuromanie

La seconda conferenza del Libroscopio 2010, tenutasi sabato 9 Ottobre, si intitola “Nuovi dualismi: il cervello tra neuroscienze e neuromanie”. Moderatore dell’incontro è sempre Pino Donghi, semiologo di formazione, docente e ricercatore presso il Dipartimento di Semiotica e Performing Arts dell’American College of Rome (Charleston, West Virginia) e divulgatore scientifico. I tre relatori sono Alberto Oliverio, Piergiorgio Strata e Paolo Livrea (cliccate sui loro nomi se volete saperne di più).

Pino Donghi, Piergiorgio Strata, Alberto Oliverio, Paolo Livrea

Si inizia dalla storia delle neuroscienze. E’ il Prof. Strata a rispolverarla velocemente, nominando uno dopo l’altro i nomi più importanti: Galvani, Matteucci, Golgi, Bovet, Montalcini e Capecchi, tanto per citarne alcuni.

Allo studio del cervello è stato dedicato il decennio 1990-2000 (il “Decennio del Cervello” fu dichiarato nel 1989 dal Presidente degli Stati Uniti George Bush e l’Italia, per il tramite del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, fu il primo paese a aderire, costrituendo, nel luglio 1990, una Commissione Nazionale presieduta dalla Prof.ssa Rita Levi Montalcini. Su indicazione di questa Commissione, successivamente aderirono anche la Commissione dell’UE e numerosi altri paesi di tutto il mondo; nda), decennio durante il quale si è voluto porre l’accento su come le Neuroscienze costituiscano un argomento emergente nel panorama delle nostre conoscenze, le cui prospettive per i prossimi anni sono senza dubbio molto interessanti.

Le neuroscienze sono esplose negli anni ’80. Oltre alla curiosità di scoprire di più sul cervello, c’era una reale necessità di capire meglio il suo funzionamento perché con l’aumentare dell’età media aumentavano i problemi al cervello, come l’Alzheimer, e studiare il cervello era il primo passo per trovare possibili cure per le varie malattie.

Il Prof. Oliverio introduce il problema dell’incoscio e della coscienza, portato avanti dal Prof. Livrea che ci parla a lungo di studi ed esperimenti riguardanti lo stato di coscienza delle persone in stato vegetativo permanente, studi molto interessanti che, se confermati, porterebbero avanti il dibattito sull’accanimento terapeutico. Questo è uno dei tanti esempi in cui la ricerca scientifica aiuta l’etica.

La conferenza prosegue su argomenti un po’ più leggeri e si parla di come le molecole del nostro cervello influenzino i nostri comportamenti: quanto siamo davvero liberi?

Nel nostro cervello, infatti, ci sono degli schemi che ci guidano nel comportamento, ma non sempre questi sono razionali: c’è una componente emozionale che ci induce a compiere scelte che ci sembrano più morali.
Per comprendere meglio di cosa si tratta, il Prof. Strata illustra alcuni famosi esempi.

Ci sono 5 persone su un binario e sta arrivando il treno: le 5 persone moriranno a meno che il treno non venga deviato su un binario dove c’è una sola persona, che in tal caso morirebbe, mentre gli altri si salverebbero. Deviereste il treno?

La risposta che ognuno di noi è portato a dare è “sì”. Tuttavia le cose cambiano in questo altro caso:

Ci sono 5 persone su un binario e sta arrivando il treno: le 5 persone moriranno a meno che non spingiate un’altra persona sotto al treno, che morirebbe, mentre gli altri si salverebbero. Buttereste la persona sotto al treno?

La risposta che la maggior parte di noi darebbe in questo caso è “no”. Eppure, razionalmente, non è cambiato niente rispetto al primo quesito: si tratta in entrambi i casi di sacrificare una persona per salvarne cinque.

Il prof. Oliverio fa un altro esempio che sicuramente avrete sperimentato in prima persona:

Dovete comprare un’automobile nuova che costa 9999 euro. In un concessionario che si trova a 100 metri di distanza vendono la stessa auto a 9998 euro. Fareste i 100 metri in più per andare all’altra concessionaria?

Direi proprio di no. Invece in questo altro caso sono sicura che risponderete di sì:

Dovete comprare un oggettino che costa 1,99 euro. In un negozio che si trova a 100 metri di distanza vendono lo stesso oggetto a 0,99 euro. Fareste i 100 metri in più per andare all’altro negozio?

Anche in questo caso, razionalmente, il risparmio è sempre di 1 euro, ma lo giudichiamo conveniente solo nel secondo caso.
E’ proprio questo il meccanismo che ci porta ad aggiungere costosissimi extra a una spesa già elevata (per esempio quando si tratta di scegliere gli accessori dell’auto).

Un altro caso in cui risulta evidente quanto i nostri comportamenti siano influenzati dalle sostanze presenti nel nostro cervell0 riguarda studi condotti sulle arvicole, una specie di roditori. Esistono due famiglie di arvicole: una dimostra estrema fedeltà nei confronti del partner ed è sostanzialmente monogama, mentre l’altra ha rapporti con partner occasionali. La differenza che è stata riscontrata nelle due famiglie riguarda il livello di ossitocina presente nel cervello. L’ossitocina è un ormone la cui funzione è associata al travaglio e al parto. Tuttavia questa sostanza è presente anche nei maschi e questi esperimenti dimostrano l’importanza di tale ormone nell’accoppiamento e nel comportamento nei confronti della prole.
Insomma, se avete tradito il vostro partner non è colpa vostra, ma della troppa ossitocina presente nel vostro cervello! E battute a volontà potrebbero farsi sulla media troppo alta di ossitocina presente nei cervelli dei nostri politici… 😉

I relatori rispondono infine alle domande del pubblico. Alcune domande riguardano curiosità e falsi miti che spesso si sentono citare:

D: E’ vero che utilizziamo solo il 5% del nostro cervello?

Risponde il Prof. Oliveri: No, è solo una leggenda metropolitana. Non c’è limite alla memoria e allo sfruttamento del nostro cervello.

D: I sensi sono solo 5?

Risponde il prof. Strata: No, i sensi sono moltissimi. Ad esempio il tatto comprende anche il senso del dolore, della pressione, la sensibilità alla posizione delle articolarzioni, la sensibilità alle vibrazioni, etc. La vista è fatta di molte “viste diverse”: quella per vedere i contorni, quella per vedere i movimenti, il chiaro-scuro, i colori, la spazialità… Poi c’è il senso dell’equilibrio, la propriocezione e così via.
I sensi quindi sono moltissimi (ma, aggiungo io al fine di evitare equivoci: non è stata mai dimostrata l’esistenza del sesto senso!)
La lesione di un’area del cervello può portare a strane esperienze come le Esperienze fuori dal corpo (OOBE:  Out-of-body-experiences), per un approfondimento delle quali rimando alla voce dell’enciclopedia del CICAP: “Viaggio fuori dal corpo“.

D: Quanto conta la genetica e quanto l’apprendimento? Il mio cervello e quello di, per esempio, Mozart, erano uguali alla nascita? Quanto sono importanti gli stimoli ricevuti in tenera età?

Rispondono i prof. Strata e Oliverio: Sicuramente c’è una componente generica, ma la variabilità individuale è forte e il cervello è molto plastico. Le esperienze precoci possono essere fondamentali come possono causare un blocco nel bambino.

Mio consiglio di lettura a questo proposito: se siete neo-genitori ossessionati da questo genere di domande o se volesse approfondire questo argomento, Piero Angela affronta la questione nel suo libro “Da zero a tre anni”.

Anche la seconda conferenza giunge al termine, lasciando il pubblico sempre più affascinato dalla vastità dei campi d’azione delle neuroscienze e dalle infinite cose che possiamo scoprire sul comportamento umano attraverso lo studio del cervello.

Un dialogo sul futuro della Neuroestetica

La prima conferenza del Libroscopio 2010 si intitola “Un dialogo sul futuro della neuroestetica“. Più che una conferenza sarà un vero e proprio dialogo, una forma sperimentale di condivisione del sapere in cui, invece di ascoltare semplicemente una relazione preparata in precedenza, il pubblico è chiamato a intervenire direttamente per porre domande ai relatori. A rispondere alle domande è il Professor Semir Zeki, padre fondatore della neuroestetica e uomo dalla conoscenza “oceanica” (come è stato definito da altri relatori), che dal 1994 si dedica allo studio delle basi biologico-neurali della creatività e dell’apprezzamento estetico dell’arte. Insieme a lui Ludovica Lumer, primo PhD in neuroestetica, che dal 1997 lavora con Semir Zeki al Department of Anatomy and Developmental Biology dell’University College di Londra. Modera Pino Donghi, semiologo di formazione, docente e ricercatore presso il Dipartimento di Semiotica e Performing Arts dell’American College of Rome (Charleston, West Virginia) e divulgatore scientifico.
Il dibattito si svolgerà in due lingue: il Prof. Zeki infatti, pur comprendendo abbastanza bene l’italiano, parla in inglese e agli altri due è affidato l’arduo compito di tradurre in italiano i concetti espressi dal Professore.

In Italia a questo tipo di dialoghi/dibattiti siamo poco abituati (pare invece siano molto frequenti in Inghilterra) e si aspettano tutti che le domande scarseggino, per timidezza o per paura. Invece le domande si susseguono una dopo l’altra senza tregua per i relatori, che alle 21.30 concluderanno la conferenza per “sfinimento”, con delusione di gran parte del pubblico che, entusiasta, avrebbe continuato a porre domande a oltranza.

Pino Donghi, Ludovica Lumer e Semir Zeki

Si parte dalla ricerca di una definizione di bello. Secondo Platone, il bello è ciò che dà piacere ai nostri sensi. Ma la scienza può indagare il bello? Si può misurare il bello? Quali sono i meccanismi alla base dell’estetica? Quali sono le condizioni necessarie affinché si possa provare piacere? Queste (e altre) le domande alla base della neuroestetica, una disciplina che, come risulta evidente dalle numerose citazioni che seguono, è molto vicina alla filosofia e all’arte.

Semir Zeki individua tre importanti momenti che hanno avuto un impatto sulla disciplina:

  1. la cultura greca: nel Simposio Platone individua una correlazione tra la bellezza e gli impulsi della libido. L’ideale di bellezza è considerato un concetto universale;
  2. per Kant alla percezione della realtà fisica segue la nostra proiezione interiore, quindi il soggetto influenza il processo percettivo;
  3. Duchamp mette in discussione la bellezza dando vita all’arte post-moderna (si veda, per esempio, la famosa opera Fontana)

Domanda: Che rapporto c’è tra ciò che percepiamo soggettivamente bello e ciò che è oggettivamente bello?

Non esiste una definizione oggettiva di bello. Quando vediamo qualcosa che ci piace una parte del nostro cervello, la corteccia orbito-frontale, si attiva (cioè viene maggiormente irrorata), mentre è inibita se vediamo qualcosa che non ci piace. Il Prof. Zeki ha scoperto, tramite studi che si basano sull’uso della risonanza magnetica funzionale, che il grado di apprezzamento si può misurare, in quanto dipende dall’intensità con cui questa parte del cervello si attiva. Il grado di apprezzamento di qualcosa è diverso per ognuno di noi.
La considerazione del bello non è però completamente soggettiva come si potrebbe pensare. Infatti l’evoluzione ha fatto sì che ci piacciano cose che hanno le giuste proporzioni o i giusti accostamenti cromatici o musicali. Biologicamente, quindi, a nessuno potrà mai piacere, in nessun caso, un volto con gli occhi sulle tempie e il naso al posto della bocca.

D: Sono state trovate relazioni tra quanto ci piace qualcosa e l’età?

C’è una correlazione tra l’esposizione  prolungata e il grado di apprezzamento di qualcosa, entro certi limiti. Ad esempio vivere  per un certo periodo in Giappone farà sì che si apprezzi più facilmente l’architettura giapponese. Tuttavia neanche l’esposizione prolungata a una faccia sproporzionata come quella descritta prima potrà far sì che ci piaccia.
Alcune cose, come la percezione del colore, sono acquisite geneticamente, ma, poichè col tempo accumuliamo esperienze e acquisiamo nuovi concetti, si ha certamente un’evoluzione dei gusti, che non possono prescindere dalle esperienze passate. Picasso diceva di voler dipingere come un bambino (“Quando ero piccolo sapevo dipingere come Raffaello, mi ci è voluta però una vita intera per imparare a disegnare come un bambino”), ma in realtà non poteva riuscire a dipingere come un bambino perché non si possono annullare le influenze dovute all’esperienza. In base all’esperienza, quindi, ci costruiamo un concetto ideale di bello, che risulta poi difficile da ritrovare nella realtà: questa è una delle cause che portano alla frustrazione e che, in molti casi, hanno determinato la nascita di grandi opere letterarie, artistiche o musicali.
Un primo esempio si trova in Dante. Egli vide Beatrice una sola volta, innamorandosene perdutamente e creando nella sua mente un’immagine talmente idealizzata da non riuscire mai, scrisse, a esperimerla con le parole.
Il secondo esempio riguarda il compositore Wagner e la sua opera Tristano e Isotta. In una lettera dichiarò di aver scritto l’opera perché nella sua vita non era mai riuscito a trovare l’amore ideale che avrebbe voluto.
Da questi due esempi si nota come spesso le creazioni artistiche derivino proprio dall’impossibilità di trovare nella realtà i propri ideali.

D: I critici d’arte come hanno accolto le scoperte della neuroestetica?

Alcuni non molto bene. Un critico ha detto: “Spero che nessuno possa mai spiegare perché mi piace tanto Schubert.
Ma quando c’è la tecnologia (e c’è) e quando c’è la curiosità (e c’è) non c’è modo di fermare l’avanzare della conoscenza in questo campo.
La neuroestetica aiuta l’arte a capire i meccanismi scientifici per cui una cosa piace o non piace, mentre l’arte aiuta la scienza a capire quali domande porsi, reinserendo nell’ambito scientifico la complessità emotiva umana che di solito è assente.

D: La neuroestetica misura le emozioni?

No. La parte del cervello legata all’emotività e quella cognitiva si sono sviluppate separatamente, seppur contemporaneamente. L’interazione tra le due parti è molto difficile e infatti, per esempio, risulta difficile esperimere emozioni e sentimenti in un’altra lingua.

D: In che modo la neuroestetica può influenzare le nostre vite?

La neuroestetica, e più in generale le neuroscienze, possono avere importanti ripercussioni sulla vita della comunità. Alcuni esempi riguardano la legislazione e l’ambito economico. In seguito all’avanzare delle conoscenze sul funzionamento del cervello, infatti, alcune leggi potrebbero dover cambiare. Si è visto, ad esempio, che il concetto di giusto e sbagliato non può esser concepito da chi ha una determinata parte del cervello danneggiata e questo dovrebbe esser preso in considerazione nel giudicare un reato. E’ stato dimostrato anche che non si può smettere di amare o di odiare (e di conseguenza di perseverare in comportamenti perversi). Un esempio pratico riguarda la pedofilia. Se un pedofilo viene messo in galera per 10 anni non si risolve il problema perché, una volta fuori, egli ricomincerà, inevitabilmente, a compiere atti di pedofilia. L’unico modo per risolvere definitivamente il problema sarebbe agire chimicamente su alcune sostanze presenti nel cervello che inducono il soggetto a trarre piacere dal compiere certi atti. Ma sarebbe lecito far ciò?
Per quanto riguarda l’ambito economico, invece, alcuni studi hanno dimostrato che gli uomini sono più inclini a rischiare rispetto alle donne. Statisticamente le aziende che avevano nel comitato direttivo un numero di donne superiore al 15% hanno risentito meno della crisi economica. Conoscere i meccanismi del cervello che sono alla base delle decisioni potrebbe aiutare a compiere scelte più razionali.

Tante altre sono state le questioni e gli interrogativi esaminati durante questo dialogo/conferenza: quelle riportate qui sono solo una piccola parte che spero vi avrà incuriosito su questa giovane branca delle neuroscienze così interessante.

Per concludere vorrei evidenziare un concetto che, a mio parere, è essenziale e in cui consiste l’importanza delle scoperte del Prof. Zeki:

Quando potete misurare ciò di cui state parlando ed esprimerlo attraverso numeri potete dire di conoscere qualcosa;
viceversa quando non potete misurarlo e dunque esprimerlo in forma numerica, il livello di conoscenza da voi raggiunto è quanto mai povero e insoddisfacente.
(Lord Kelvin)

e questo non toglie di certo magia alla bellezza, alle emozioni che ci regala ciò che ci  piace e all’arte in tutte le sue forme.

Il Libroscopio giunge alla quarta edizione

E’ stata inaugurata ieri la quarta edizione della Settimana della Cultura Scientifica, organizzata da “I presidi del libro” di Noicàttaro. Il progetto nasce, spiega Filomena Liturri, presidentessa dell’associazione, da una esigenza: parlare di scienza in un Paese in cui questa è vista ancora con diffidenza.

Scegliere di dedicare fondi a questa iniziativa, dice Silvia Godelli, Assessore al Mediterraneo e al Turismo della Regione Puglia, è una scelta controcorrente e fuori moda. In Italia è praticamente assente una buona divulgazione scientifica: quella fatta in tv non può definirsi tale perché la scienza ha bisogno di cura e precisione, caratteristiche assenti in molti di quei programmi che sostengono di fare divulgazione.

Il Libroscopio è l’unica manifestazione scientifica della regione, realizzata grazie all’impegno dei volontari del Presidio del Libro, persone che il sindaco del Comune di Noicàttaro Giovanni Dipierro ci tiene a ringraziare una per una per il loro grande impegno nell’organizzazione di una manifestazione che ha ormai raggiunto una grande visibilità e ogni anno affronta temi complessi e interessanti, con conferenze tenute da Professori ed esperti e laboratori che vedono la partecipazione di tutti: dai bambini delle scuole elementari sino agli adulti.

Una così bella inziativa costa, ci svela Trifone Altieri, Vicepresidente e Assessore alla Cultura della Provincia di Bari, molto meno di tante altre iniziative non altrettanto interessanti. Mi torna in mente una riflessione simile fatta in altra occasione da Piero Angela, che lamentava il fatto che i fondi a disposizione fossero destinati sempre alle sagre e mai ad attività culturali.

Dopo i vari interventi, il coordinatore dell’Inaugurazione, Edoardo Altomare, passa la parola ai tre relatori della prima conferenza, che riguarda la neuroestetica e sarà oggetto del mio prossimo post.

Inaugurazione del Libroscopio 2010

In un periodo buio di crisi come quello che stiamo attraversando manifestazioni di questo genere sono davvero uno spiraglio di luce, una fonte di arricchimento culturale senza pari.

E’ pur vero che sono solo una goccia nell’oceano, e che una goccia non cambia l’oceano, ma è pur sempre una goccia in più!

Il titolo della settimana della cultura scientifica di quest’anno è intrigante: NEUROSCIENTEMENTE. Si parlerà di neuroestetica, neuroscienze, neuromanie, neuromarketing, neuroni specchio e paure. Sabato 16 Ottobre, invece, sarà dedicato ai laboratori interattivi. Trovate qui la brochure con tutti gli (imperdibili) appuntamenti!

Vi consiglio vivamente di non mancare!

Hello World!

Primo post di questo nuovo blog!

Dico “nuovo” perchè il blog “A little Skeptic” nasce quasi 4 anni fa, per la precisione il 18/10/2006. Per varie ragioni adesso ho deciso di trasferirlo su quest’altro sito, sperando di non perdere i (probabilmente pochi) lettori che mi seguivano.
E’ stata una scelta sofferta, ma ormai…eccoci qui, si ricomincia da capo!

Sebbene con una grafica diversa, lo stile e  i contenuti del blog rimarranno gli stessi: pensieri, opinioni, resoconti divertenti, recensioni di libri e conferenze fatti da una “piccola scettica” (ormai cresciuta), senza alcuna pretesa.