Un dialogo sul futuro della Neuroestetica

La prima conferenza del Libroscopio 2010 si intitola “Un dialogo sul futuro della neuroestetica“. Più che una conferenza sarà un vero e proprio dialogo, una forma sperimentale di condivisione del sapere in cui, invece di ascoltare semplicemente una relazione preparata in precedenza, il pubblico è chiamato a intervenire direttamente per porre domande ai relatori. A rispondere alle domande è il Professor Semir Zeki, padre fondatore della neuroestetica e uomo dalla conoscenza “oceanica” (come è stato definito da altri relatori), che dal 1994 si dedica allo studio delle basi biologico-neurali della creatività e dell’apprezzamento estetico dell’arte. Insieme a lui Ludovica Lumer, primo PhD in neuroestetica, che dal 1997 lavora con Semir Zeki al Department of Anatomy and Developmental Biology dell’University College di Londra. Modera Pino Donghi, semiologo di formazione, docente e ricercatore presso il Dipartimento di Semiotica e Performing Arts dell’American College of Rome (Charleston, West Virginia) e divulgatore scientifico.
Il dibattito si svolgerà in due lingue: il Prof. Zeki infatti, pur comprendendo abbastanza bene l’italiano, parla in inglese e agli altri due è affidato l’arduo compito di tradurre in italiano i concetti espressi dal Professore.

In Italia a questo tipo di dialoghi/dibattiti siamo poco abituati (pare invece siano molto frequenti in Inghilterra) e si aspettano tutti che le domande scarseggino, per timidezza o per paura. Invece le domande si susseguono una dopo l’altra senza tregua per i relatori, che alle 21.30 concluderanno la conferenza per “sfinimento”, con delusione di gran parte del pubblico che, entusiasta, avrebbe continuato a porre domande a oltranza.

Pino Donghi, Ludovica Lumer e Semir Zeki

Si parte dalla ricerca di una definizione di bello. Secondo Platone, il bello è ciò che dà piacere ai nostri sensi. Ma la scienza può indagare il bello? Si può misurare il bello? Quali sono i meccanismi alla base dell’estetica? Quali sono le condizioni necessarie affinché si possa provare piacere? Queste (e altre) le domande alla base della neuroestetica, una disciplina che, come risulta evidente dalle numerose citazioni che seguono, è molto vicina alla filosofia e all’arte.

Semir Zeki individua tre importanti momenti che hanno avuto un impatto sulla disciplina:

  1. la cultura greca: nel Simposio Platone individua una correlazione tra la bellezza e gli impulsi della libido. L’ideale di bellezza è considerato un concetto universale;
  2. per Kant alla percezione della realtà fisica segue la nostra proiezione interiore, quindi il soggetto influenza il processo percettivo;
  3. Duchamp mette in discussione la bellezza dando vita all’arte post-moderna (si veda, per esempio, la famosa opera Fontana)

Domanda: Che rapporto c’è tra ciò che percepiamo soggettivamente bello e ciò che è oggettivamente bello?

Non esiste una definizione oggettiva di bello. Quando vediamo qualcosa che ci piace una parte del nostro cervello, la corteccia orbito-frontale, si attiva (cioè viene maggiormente irrorata), mentre è inibita se vediamo qualcosa che non ci piace. Il Prof. Zeki ha scoperto, tramite studi che si basano sull’uso della risonanza magnetica funzionale, che il grado di apprezzamento si può misurare, in quanto dipende dall’intensità con cui questa parte del cervello si attiva. Il grado di apprezzamento di qualcosa è diverso per ognuno di noi.
La considerazione del bello non è però completamente soggettiva come si potrebbe pensare. Infatti l’evoluzione ha fatto sì che ci piacciano cose che hanno le giuste proporzioni o i giusti accostamenti cromatici o musicali. Biologicamente, quindi, a nessuno potrà mai piacere, in nessun caso, un volto con gli occhi sulle tempie e il naso al posto della bocca.

D: Sono state trovate relazioni tra quanto ci piace qualcosa e l’età?

C’è una correlazione tra l’esposizione  prolungata e il grado di apprezzamento di qualcosa, entro certi limiti. Ad esempio vivere  per un certo periodo in Giappone farà sì che si apprezzi più facilmente l’architettura giapponese. Tuttavia neanche l’esposizione prolungata a una faccia sproporzionata come quella descritta prima potrà far sì che ci piaccia.
Alcune cose, come la percezione del colore, sono acquisite geneticamente, ma, poichè col tempo accumuliamo esperienze e acquisiamo nuovi concetti, si ha certamente un’evoluzione dei gusti, che non possono prescindere dalle esperienze passate. Picasso diceva di voler dipingere come un bambino (“Quando ero piccolo sapevo dipingere come Raffaello, mi ci è voluta però una vita intera per imparare a disegnare come un bambino”), ma in realtà non poteva riuscire a dipingere come un bambino perché non si possono annullare le influenze dovute all’esperienza. In base all’esperienza, quindi, ci costruiamo un concetto ideale di bello, che risulta poi difficile da ritrovare nella realtà: questa è una delle cause che portano alla frustrazione e che, in molti casi, hanno determinato la nascita di grandi opere letterarie, artistiche o musicali.
Un primo esempio si trova in Dante. Egli vide Beatrice una sola volta, innamorandosene perdutamente e creando nella sua mente un’immagine talmente idealizzata da non riuscire mai, scrisse, a esperimerla con le parole.
Il secondo esempio riguarda il compositore Wagner e la sua opera Tristano e Isotta. In una lettera dichiarò di aver scritto l’opera perché nella sua vita non era mai riuscito a trovare l’amore ideale che avrebbe voluto.
Da questi due esempi si nota come spesso le creazioni artistiche derivino proprio dall’impossibilità di trovare nella realtà i propri ideali.

D: I critici d’arte come hanno accolto le scoperte della neuroestetica?

Alcuni non molto bene. Un critico ha detto: “Spero che nessuno possa mai spiegare perché mi piace tanto Schubert.
Ma quando c’è la tecnologia (e c’è) e quando c’è la curiosità (e c’è) non c’è modo di fermare l’avanzare della conoscenza in questo campo.
La neuroestetica aiuta l’arte a capire i meccanismi scientifici per cui una cosa piace o non piace, mentre l’arte aiuta la scienza a capire quali domande porsi, reinserendo nell’ambito scientifico la complessità emotiva umana che di solito è assente.

D: La neuroestetica misura le emozioni?

No. La parte del cervello legata all’emotività e quella cognitiva si sono sviluppate separatamente, seppur contemporaneamente. L’interazione tra le due parti è molto difficile e infatti, per esempio, risulta difficile esperimere emozioni e sentimenti in un’altra lingua.

D: In che modo la neuroestetica può influenzare le nostre vite?

La neuroestetica, e più in generale le neuroscienze, possono avere importanti ripercussioni sulla vita della comunità. Alcuni esempi riguardano la legislazione e l’ambito economico. In seguito all’avanzare delle conoscenze sul funzionamento del cervello, infatti, alcune leggi potrebbero dover cambiare. Si è visto, ad esempio, che il concetto di giusto e sbagliato non può esser concepito da chi ha una determinata parte del cervello danneggiata e questo dovrebbe esser preso in considerazione nel giudicare un reato. E’ stato dimostrato anche che non si può smettere di amare o di odiare (e di conseguenza di perseverare in comportamenti perversi). Un esempio pratico riguarda la pedofilia. Se un pedofilo viene messo in galera per 10 anni non si risolve il problema perché, una volta fuori, egli ricomincerà, inevitabilmente, a compiere atti di pedofilia. L’unico modo per risolvere definitivamente il problema sarebbe agire chimicamente su alcune sostanze presenti nel cervello che inducono il soggetto a trarre piacere dal compiere certi atti. Ma sarebbe lecito far ciò?
Per quanto riguarda l’ambito economico, invece, alcuni studi hanno dimostrato che gli uomini sono più inclini a rischiare rispetto alle donne. Statisticamente le aziende che avevano nel comitato direttivo un numero di donne superiore al 15% hanno risentito meno della crisi economica. Conoscere i meccanismi del cervello che sono alla base delle decisioni potrebbe aiutare a compiere scelte più razionali.

Tante altre sono state le questioni e gli interrogativi esaminati durante questo dialogo/conferenza: quelle riportate qui sono solo una piccola parte che spero vi avrà incuriosito su questa giovane branca delle neuroscienze così interessante.

Per concludere vorrei evidenziare un concetto che, a mio parere, è essenziale e in cui consiste l’importanza delle scoperte del Prof. Zeki:

Quando potete misurare ciò di cui state parlando ed esprimerlo attraverso numeri potete dire di conoscere qualcosa;
viceversa quando non potete misurarlo e dunque esprimerlo in forma numerica, il livello di conoscenza da voi raggiunto è quanto mai povero e insoddisfacente.
(Lord Kelvin)

e questo non toglie di certo magia alla bellezza, alle emozioni che ci regala ciò che ci  piace e all’arte in tutte le sue forme.